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lunedì 21 gennaio 2013

L'ACQUA E IL FEMMINILE di Roberto Lucchetta





“L’acqua è il sangue che nutre la carne e il cuore”.
Con questa frase iniziamo il nostro “viaggio” nel femminile acquatico.
Iniziamo quindi un tragitto teso a mettere in luce tutta la portata “aurorale” della coscienza acquatica, ovvero la possibilità della coscienza di spaziare in un campo collettivo e infinito, di uscire dall’ambito individuale e oggettivo della “coscienza attenta”.
L’acqua ferma e profonda è un’acqua che assume funzione materna, inconscia, uroborica; come scrive Neumann “nella situaione psichica originaria, sia maschile che femminile, predomina una fusione, meglio, un non-essere-ancora-diviso dell’Io dall’inconscio. Il bambino è ancora contento nello uroboro materno.
Le strutture psicofisiche maschili e femminili non si sono ancora differenziate e convivono in questa comune dimensione simbolica. L’evoluzione della promiscuità inconscia verso l’obiettività della coscienza viene realizzata nella storia dell’uomo per mezzo di una “divisione” del maschile dal femminile. Il femminile può restare al’interno del rapporto originario senza dover abbandonare l’Uroboro materno”.
La’vvento dell’ “acqua-mestruo” in un femminile ormai differenziato ed adulto è stato sempre ritualizzato come momento “sacro”, come incontro del femminile con la propria parte creativa, momento chiave dell’evoluzione nella coscienza della donna.
Ad ogni nascita, si ripete all’interno del corpo della donna l’intero processo filogenetico della creazione del mondo, in cui maschile e femminile sono fusi fino alla separazione finale, al termine della gravidanza. In questo processo l’acqua e il femminile sono intimamente connessi, fin dall’inizio della gestazione aumenta la funzionalità renale, il rene dal punto di vista simbolico più che mai rimanda ad un femminile ancestrale, ed una dimensione acquatica primordiale, mobile, matrice di tutte le forme e capace di modificare la sua stessa forma, in questo senso femminile in questo senso legata all’acqua.



L’acqua rappresenta il totale di tutte le forme, la loro nascita e la loro morte. Così come a confermare tale concetto, l’acqua aumenta in modo significativo al comparire di una nuova vita, “irriga” il corpo materno. Similmente ai processi che avvengono, l’ovulo fecondato diviene una sorta di sfera in cui si raccoglie l’acqua che circonda le prime cellule embrionali. Tale momento è caratterizzato dall’accettazione passiva e ricettiva del simbolo che contrassegna le prime fasi della gestazione.
In stretta connessione con l’acqua è il Mito lunare; la dea lunare è madre di tutte le cose viventi, in ogni regione esse erano considerate le guardiane delle acque, dei fiumi, dei ruscelli e delle sorgenti che sorgono dalla terra. Tali luoghi erano considerati sacri dalla dea della fertilità, probabilmente perché simbolizzavano in modo così appropriato quell’invisibile potere di “generare dal di dentro”.
Di particolare interesse è il mito dela Dea Holla, dispensatrice di fecondità. Ella dà alle donne che vengono a trovarla nelle acque la salute e la fecondità: “i bambini neonati provengono dalle sue acque, di conseguenza è lei che li produce, attira i bambini nel suo stagno, porta fortuna a quelli che sono buoni e rende miserabili i cattivi. Tutti gli anni percorre il paese, diffonde la fertilità nelle campagne; ma genera anche spavento quando attraversa la foresta alla testa di un’armata furiosa. In questo mito compare l’ombra della grande madre uroborica dispensatrice sia di vita che di morte. Crogiolo di tutte le forme di vita, ma anche pericolosa e distruttrice.
Quest’ultimo aspetto è ben messo in evidenza dal mito delle “ondine”, figlie delle acque con potere di morte. “Quando si lamentano di non avere anima, attenzione, il loro desiderio nascosto è quello di unirsi ad un uomo e portare con sé solo morte col pretesto della pietà e dell’amore. L’impietoso Nisso impone loro disciplina ed espiazione. Una delle abitudini delle ondine è quella di danzare sopra l’acqua quando qualcuno deve annegare.”
Di particolare suggestione è la leggenda della “Roleley”; né Fata, né profetessa, ma figlia di un pescatore, il cui nome Leonore fu trasformato in Lore. Ella abitava con il suo vecchio padre nell’ultima casa vicino al fiume.
“Dietro la casa si estendeva un prato che quasi lambiva le acque limpide del Reno, in riva al fiume si levava una roccia cupa e inaccessibile, il cui picco sorgeva sulla ripida corrente ai piedi del quale un gorgo rendeva il passaggio pericoloso per qualsiasi imbarcazione..” in questo luogo avvengono gli incontri della bella Lore con gli spiriti. Perseguitata dalla popolazione per questo motivo, viene salvata dal conte Udo.
Lore si innamorò perdutamente del cavaliere che poi l’abbandonò. Una notte in riva al Reno al suo pianto disperato, emerse il Dio del Reno dalle acque, per consolarla. Strinsero un patto in cui Lore avrebbe affascinato qualsiasi navigatore per poi sprofondarlo nelle acque profonde. Ma il destino di Lore si compie al passaggio del suo antico amore. L’incantatrice viene meno al suo patto con il Dio del Reno, pagando con la sua vita.
In questa leggenda è molto ben rappresentato il doppio aspetto femminile: benefico e terrifico al tempo stesso, il fiume stesso rappresenta l’inizio e la fine di tutte le cose.
Nello stesso tempo la leggenda delle altre figlie delle acque “le sirene”, il senso della parola sirena sfuggente come il loro corpo: metà donne, metà animale. È d’uso attribuire loro come padre Acheloo, il più grande fiume della Grecia. La sirena appare spesso nei panni di divoratrice: “..quelle sirene che trascinano con i loro canti negli abissi perché tutti siano divorati da lupi e da cani”.
Particolare interesse riveste la leggenda di Melusina, re di Albania, avendo perso la sposa, cacciava per dimenticare il proprio dolore. Si avvicinò ad una fontana e improvvisamente udì una voce melodiosa uscire dalle acque: vide apparire una bella donna, la fata Presina, e presto ne fu innamorato e la sposò.
Durante il parto della sua sposa, corse al suo capezzale rompendo il patto secondo il quale non avrebbe dovuto assistere alla nascita dei suoi figli. Presina lo abbandonò, portando con sé le sue tre figlie. Melusina, figlia di Presina, ripete la sorte della madre, contraendo matrimonio con Raimondo e ponendo la condizione che lo sposo non doveva conoscere come ella trascorreva i suoi sabati; ma questi contravvenne alla promessa. Scoprì infatti la moglie, nei sotterranei del castello, in una vasca di marmo, nuda fino alla cintura, mentre il resto del corpo terminava con una coda di serpente. Anche Melusina può essere considerata una divinità doppia consolatrice e sposa, ma al tempo stesso distruttrice, annunciatrice di vita e di morte.
Concludiamo questo viaggio immaginario con queste parole particolarmente suggestive:
..perché il Sole è il principio della vita e le acque primordiali sono la Luna.
Queste acque sono la sorgente di tutto, di ciò che è invisibile ed invisibile.
Le acque sono l’immagine del tutto: l’ombra della grande madre ritorna”.

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